Chianti o…. Chianti Classico? Quando l’abito fa il monaco

Chianti o…. Chianti Classico? Quando l’abito fa il monaco

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Partiamo subito da un assunto: Chianti e Chianti Classico non sono sinonimi. Non è una questione di graduatorie o meriti acquisiti sul campo, ma una semplice distinzione fra due vini diversi, con due territori di produzione e due disciplinari differenti. Sono ancora oggi in tanti, anche fra gli addetti ai lavori e nel campo della comunicazione enogastronomica, quelli che utilizzano il termine “Chianti” come onnicomprensivo, presupponendo che “Chianti Classico” sia una sottozona della famosa etichetta toscana, al pari di Colli Fiorentini, Colli Senesi, Montespertoli, Rùfina e via discorrendo.

È bene quindi sgombrare il campo da ogni equivoco: “Chianti Classico” non è una “sottozona” del “Chianti”. Sono due etichette Docg distinte e separate dal lontano 1932, anno in cui un Decreto Ministeriale operò la differenziazione. Bisognava infatti risolvere una “ambiguità” sostanziale: dagli inizi del Ventesimo secolo, molte aziende avevano cominciato a produrre vino Chianti anche al di fuori della zona “classica” (appunto), quella delimitata fin dal 1716 dal Granduca di Toscana Cosimo III. Operazione che potremmo definire “commerciale”: la domanda di questo pregiato nettare a bacca rossa, durante i primi del Novecento, era difatti aumentata esponenzialmente, e la zona originariamente vocata non bastava più per farne fronte. Si pensò quindi di allargare la produzione, coinvolgendo altri territori toscani dotati di particolare vocazione vitivinicola, utilizzando gli stessi processi di lavorazione e i medesimi uvaggi di origine.

Il primo elemento da considerare quando si parla di Chianti Classico e di Chianti è quindi la geografia: il primo è il nome del vino prodotto nella regione geografica storica, tra Firenze e Siena, ed è l’unico ad avere diritto allo storico marchio del “Gallo Nero” (nato nel 1924 come simbolo del Consorzio di Tutela). I Comuni in cui ricade l’area di produzione sono la totalità di Castellina, Gaiole, Greve e Radda in Chianti, nonché parte dei Comuni di Poggibonsi, San Casciano, Tavarnelle in Val di Pesa, Barberino Val d’Elsa e Castelnuovo Berardenga. Ma attenzione: non è solo la regione geografica a rendere tale un Classico. Nel 1996, dal riconoscimento di primogenitura risalente al 1932, l’etichetta Chianti Classico diventa del tutto autonoma, con un proprio esclusivo disciplinare.

È infatti in questa zona che troviamo il territorio d’elezione per le uve Sangiovese (base imprescindibile di ogni Chianti Classico), che danno al vino quel colore rosso rubino che, con l’invecchiamento, tende a diventare granato. Le regole del disciplinare vogliono, per l’appunto, che il Sangiovese sia in maggioranza (minimo 80 percento, fino alla “purezza”) unito a uve autoctone come il Canaiolo e il Colorino; oppure uve importate come il Cabernet e il Merlot. Non solo; proprio per indicare la particolare qualità di questi uvaggi, il volume di produzione deve essere per forza contenuto: bassa resa per pianta (massimo 2 chili di uva a ceppo) e per ettaro (massimo 75 quintali). Come a dire: se ne producete troppo, non è più Chianti Classico perché le uve, fisicamente, non basterebbero. Attenzione, in ultimo, anche alle date. Il Chianti Classico può essere immesso in commercio non prima del Primo ottobre dell’anno successivo alla vendemmia. Se trovate un Chianti Classico del 2014 a marzo o ad aprile (ora che siamo nel 2015) qualcuno sta tentando di fregarvi.