Chi troppo vuole, nulla stringe. I proverbi, nella loro apparente banalità, raccontano di consigli che sarebbe bene rispettare, soprattutto se parliamo di vino e sua produzione. Dopo aver impiantato le viti, curato il vitigno, vendemmiato il raccolto e vinificato il mosto (come vi abbiamo raccontato nelle puntate precedenti del nostro speciale), è arrivato il momento di affinare il vino e provvedere al suo imbottigliamento. E anche in questa fase bisogna seguire passo passo la saggezza popolare: non pretendete tutto e subito dalle vostre uve. Ossia: non lanciatevi a rotta di collo nella produzione e invecchiamento di Brunello o Nobile di Montepulciano. Nei primi anni è bene seguire la regola aurea di vini giovani e di pronta beva, senza che per questo si debba parlare di scadimento nella qualità.
L’affinamento dei vini racconta, infatti, di processi appresi col tempo. Il primo a doversi affinare è il produttore, colui che ha deciso di lanciarsi in questa bellissima ma impegnativa avventura nel mondo di Bacco. Conservare il vino non è un aspetto facile del lavoro: bisogna anzitutto scegliere le botti, la loro capacità e capienza, la loro disposizione in cantina; o se, al contrario, conservare il vino direttamente in vasca d’acciaio. Cosa preferibile, in genere, per i bianchi più giovani, fermentati “in purezza” (senza l’ausilio delle vinacce) e quindi naturalmente meno acidi. Per i rossi, invece, si possono acquistare botti di legno da adoperare dopo la fermentazione alcolica: un processo che “disacidifica” naturalmente il vino (visto che, lo ricordiamo, fermenta a contatto con le vinacce, che trasmettono al mosto il sentore amarognolo e astringente dei tannini) grazie al contatto con il legno stesso, che permette l’ossigenazione del liquido.
La conservazione e l’affinamento può avvenire nelle botti da mille litri (quelle classiche) o nelle più rinomate barriques, recipienti in legno da 225 o 228 litri che vengono adoperati per i vini più strutturati e adatti all’invecchiamento. Passata questa delicata fase, eccoci giunti all’imbottigliamento, quando il vino passerà finalmente alla sua destinazione finale: la bottiglia, per l’appunto. Una fase che è consigliabile avviare tra il febbraio e il marzo successivi alla vendemmia, di modo che i vini fermentati abbiano raggiunto quel buon equilibrio fra dolcezza degli zuccheri, ossigenazione degli acidi e pervasività dei tannini.
Il travaso avviene in modo molto semplice: versate il vino conservato nelle botti o nelle vasche d’acciaio in una damigiana, dove lo lascerete per un periodo non superiore ai 20 giorni: prendete la damigiana, una cannula da travaso (detta anche “cantabrina”) e le bottiglie, dopodiché iniziate la vostra operazione, stando attenti a che il vino scorra dolcemente sulle pareti della bottiglia (un po’ come vediamo fare agli spillatori di birra col boccale). Una volta iniziato il processo di travaso, meglio portarlo a termine: una damigiana riempita per metà pregiudica la qualità del vino rimasto al suo interno, poiché non ne garantisce un’adeguata conservazione.
Per la tappatura consigliamo il classico tappo di sughero o quello in plastica, da impiantare nel collo della bottiglia con l’apposita macchina. Questo accorgimento farà sì che il vostro vino si conservi a una qualità accettabile anche fuori dalle vasche e dalle botti, proteggendolo da eventuali agenti esterni che ne velocizzerebbero la sua trasformazione in aceto. L’ultima operazione sarà quella di riporre le bottiglie in un luogo fresco, senza sbalzi di temperatura, con poca luce e soprattutto senza odori. Ed ecco pronta la vostra scorta di vino “domestico” da consumare entro l’anno.