Doc, Igt, Docg, Vsq, Vsqprd… e via dicendo. Più che di vini, sembra parlare degli anagrammi della Settimana Enigmistica. Un florilegio di denominazioni, etichettature e indicazioni di provenienza che sottolineano la specificità di un vino, la sua zona di produzione e la sua appartenenza o meno a una categoria “protetta”. Ed è proprio quest’ultima, come vedremo, la parola chiave che ci guiderà nel nostro speciale sulle etichette.
Vi parleremo delle denominazioni di origine, di come la storia dei grandi vini italiani sia segnata dai marchi di qualità e come essi siano cambiati nel tempo fino alla tentata “dismissione” dei marchi Doc e Docg a favore dei Dop. L’intenzione del Legislatore Comunitario era infatti quella di semplificare l’insieme dei marchi e delle denominazioni, facendole ricomprendere nelle categorie già in vigore per il mercato agro-alimentare (i prodotti Dop, appunto, come la Mozzarella di Bufala campana o l’Aceto Balsamico di Modena) ed eliminando le indicazioni specifiche per il prodotto vino. Nella qualità di ciò che beviamo, ovviamente, non sarebbe cambiato nulla: un Brunello sarebbe restato sempre un Brunello; un Barolo sarebbe restato sempre tale; un Fiano irpino o un Montepulciano d’Abruzzo non sarebbero cambiati di una virgola. Sarebbe mutato solo il marchio d’origine, quello che potremmo definire il timbro che certifica, con certezza, la provenienza di un vitigno. Ma perché tutti questi condizionali? Semplice: come nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “Tutto è cambiato per non cambiare niente”. E a breve vedremo perché.
La nostra vuole essere una piccola guida, un vademecum per riconoscere le etichette, giostrarsi nei cambiamenti della legislazione alimentare vigente, non perdersi nel mare magnum del grande panorama della viticoltura italiana. Scioglieremo queste sigle, le analizzeremo, ne tracceremo brevemente la storia per capire cosa cambia e cosa resta immutato con le nuove direttive introdotte dal Regolamento CE n. 479 del 2008 in materia di mercato vinicolo e il seguente 1308 del 2013 che lo abroga parzialmente. Vedremo che la cosiddetta “piramide di qualità” introdotta nel 1992 (Igt, Doc e Docg) voleva, nelle intenzioni del legislatore europeo, essere sostanzialmente eliminata per favorire un’integrazione e armonizzazione delle tipologie e dei marchi riconosciuti. Un esempio di facile comprensione: far ricadere le etichette Doc e Docg sotto la stessa denominazione (Dop), avrebbe provocato nei consumatori, quasi certamente, un minore senso di “distinzione” qualitativa fra i due marchi. Come a dire: il Docg e il Doc, ormai, sono la stessa cosa.
Va da sé come non sia proprio così: le zone a carattere Docg, come quelle Doc e quelle Igt, potranno continuare a mantenere il proprio marchio assieme alla denominazione di origine protetta, conservando così quella specificità che dai primi anni Novanta (quando fu introdotto il termine) le connota. Il già citato Regolamento Europeo 1308 (“Organizzazione Comune dei Mercati dei Prodotti Agricoli”) recupera i marchi storici dell’enologia italiana e ne rende possibile l’indicazione sulle etichette di fianco ai recenti Igp e Dop. Come a dire: va bene l’armonizzazione, va bene l’integrazione, va bene tutto; ma non dimentichiamoci che i vini italiani presentano peculiarità uniche, impossibili da comprendere in un unico “mega-marchio”. Tanto rumore per nulla, direbbe Shakespeare. Alla fin fine, a ben guardare, non è cambiato quasi niente.
E ciò che davvero non è mai cambiato (e presumibilmente non cambierà mai) sono le regole di base: indicare obbligatoriamente la categoria Dop o Igp sull’etichetta (fronte o retro, basta che sia chiaramente leggibile nel proprio campo visivo, senza ruotare la bottiglia); percentuale di alcol; indicazioni di provenienza (produttore o imbottigliatore); numero di lotto; indicazione dei solfiti; indicazioni sull’importatore.