«Nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza», cantava Francesco Guccini nella “Canzone dei dodici mesi”. Un momento, quello della vendemmia, che ha stimolato la fantasia di parecchi artisti, non solo delle note ma anche del pennello. Già nel primo ‘400, i libri scritti a mano erano ornati da pregiate miniature, alcune delle quali ritraenti il momento della vendemmia e delle danze propiziatorie per un buon raccolto, come quella dei fratelli Limbourg (di scuola franco-fiamminga, oggi esposta al Museo Condé di Chantilly) o quella in onore del re don Manuel di Portogallo del 1417, dove assistiamo al momento della raccolta e della pigiatura delle uve.
Ma è nel ‘700 e nell’800 che troviamo la piena espressività e consapevolezza di chi presta la propria arte al rito della vendemmia. Cominciamo con il 1786 e con uno dei pittori più famosi d’ogni epoca, Francisco Goya. “La Vendemmia” è uno dei capolavori giovanili del grande artista d’Aragona, destinato ad adornare la sala da pranzo del palazzo reale El Pardo del sovrano Carlo III e oggi custodito al celebre Museo del Prado di Madrid. La composizione triangolare della scena, che culmina nel recipiente ripieno d’uva, contribuisce a creare un senso di eleganza e armonia, sottolineato dai colori luminosi e saturi e dall’abbigliamento dei protagonisti. È con questo dipinto, molto apprezzato dall’aristocrazia illuminata dell’epoca, che Goya inizia la sua folgorante carriera artistica. E ci piace pensare che un po’ di merito vada anche al pregiato nettare di Bacco.
Spostiamoci di qualche chilometro e di qualche anno: Francia, regione del Médoc, 1815. L’artista di origini canadesi Clément Boulanger dipinge la sua “Vendemmia nel Médoc”, oggi custodita al Museo delle belle arti di Bordeaux. Una scena di vita quotidiana, colta nella sua “idealità” e impressa con fermezza nel pennello dell’autore. Anche qui troviamo una composizione triangolare, che culmina nel gesto virile del contadino che trasporta le uve pronte a essere vinificate. Siamo qui lontani dall’eleganza ostentata del dipinto di Goya (d’altronde Boulanger non dipingeva per un committente della corte regia), più vicini a una scena di stampo realista e verista, genere che qualche anno più tardi avrebbe trovato ampia diffusione anche nella Letteratura con le opere dei Goncourt e Zola in Francia, Verga, Capuana, Serao e Fucini in Italia.
E noi italiani potevamo essere da meno? Anche sulla Penisola c’è chi ha dedicato il pennello al momento dell’ebbrezza vitivinicola. Angelo Inganni, pittore bresciano ottocentesco, dipinge una vendemmia dove riconosciamo palpabile la gioia dei paesani in preda a gioiosa furia enoica. Alla nostra sinistra canti e balli, cui assistono dei bambini, un’anziana e un signorotto in tuba. Sullo sfondo due contadini si apprestano a condurre le uve nel loro viaggio verso la vinificazione. Scena quasi bacchica che sottolinea come il vino sia trasversale a tutte le età, censi, sessi e via discorrendo. Il vino è democratico per natura: non fa e non vuole discriminazioni. Questo Inganni lo sa e lo rende con somma chiarezza nel suo tratto vivace e terroso, che ben si presta a una scena di vita campestre.